Quarto Stato

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Giuseppe Pellizza da Volpedo (1868-1907)

Chioggia.

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martedì 19 maggio 2009

E i libri, che fine faranno?



E' con piacere che trovo in libreria il volume di Carrière ed Eco presentato il 14 scorso in apertura della Mostra del libro di Torino; alla mente mi sovviene Massimo Balldini, Storia della comunicazione, Newton e Compton, 2003, che descrive l'evoluzione della comunicazione sino ai giorni nostri e, un po', prospetta il futuro. Qui si tratta di pensare come il libro si porrà...
Da http://www.ibs.it/, trascrrivo la recensione:

Un semiologo e uno sceneggiatore si incontrano a Parigi. Ne nasce una
conversazione coltissima e allo stesso tempo ironica, ricca di citazioni, di
aneddoti, ma anche di riflessioni sul futuro del libro. Entrambi appassionati
collezionisti di libri rari, Umberto Eco ha dedicato gran parte della sua
ricerca al tema dell’errore e del falso, Jean-Claude Carrière, noto uomo di
teatro, sceneggiatore e saggista, ha approfondito il tema della stupidità, con
il suo Dictionnaire de la bêtise. Sono quindi gli incidenti di percorso, le
cadute, i discostamenti dalla norma, il fulcro dell’attenzione dei due studiosi:
tutte quelle cose che ribadiscono l’importanza della conservazione. Si tratta
principalmente dei libri, ovvero dell’ultimo baluardo della sopravvivenza della
memoria, dal momento che sono sopravvissuti a tutte le trappole a cui la storia
li ha sottoposti.Dai monaci cistercensi alla riproduttività tecnica, dal papiro
agli e-book, nonostante l’accelerazione esponenziale della tecnologia, i libri
continuano a resistere a tutte le invenzioni successive, dimostrandosi il
corrispettivo della ruota nella storia della tecnologia: un’invenzione che non
ha mai ceduto il passo a suoi rivali. L’esempio del cinema, dice Jean-Claude
Carrière, può chiarire meglio il concetto: ogni nuova tecnologia, la
registrazione della voce e dei suoni, le immagini sintetiche, la televisione,
cercherà di dimostrare che supera i limiti propri della tecnologia precedente, e
si presenterà orgogliosamente come unica, come se fosse in grado di spazzare via
tutto ciò che l’ha preceduta. In realtà, esigendo un nuovo linguaggio,
certamente più complesso, queste nuove tecnologie presuppongono, e quindi
comprendono, l’uso dei linguaggi meno complessi, è questo il motivo per cui è
proprio grazie ad Internet che siamo ritornati all’era alfabetica.Il computer,
nonostante sia stata annunciato da più parti come il simbolo dell’imperio delle
immagini, in realtà ha decretato il successo della lettura. Il monitor è infatti
solo uno dei supporti attraverso cui si compie questo gesto, e non è neanche
quello più comodo, a causa della fatica fisica e della difficoltà di trasporto.
Cinquecento anni di storia non solo hanno lasciato inalterata la funzione svolta
dal libro, ma hanno decretato il successo di un oggetto che, come il cucchiaio o
la ruota, non può essere perfezionato.Il fulcro del discorso intrapreso dai due
studiosi non è quindi l’importanza del libro in sé, ma l’esistenza del concetto
di permanenza e di durevolezza della memoria, che è veicolata dai libri, e che,
come concetto collettivo, rappresenta la cultura. La memoria filtra le
informazioni utili e cancella dal nostro cervello tutto il superfluo,
esattamente come le biblioteche e gli archivi inglobano tutto ciò che non può
essere memorizzato e tramandato a voce. Sostiene il semiologo che “la cultura è
un cimitero di libri e di altri oggetti scomparsi per sempre”, è quindi una
delle funzioni principali del libro quella di immagazzinare e preservare le
informazioni che in questo momento non ci sembrano utili, ma che potrebbero
interessarci un giorno nel futuro, se vorremo tornarci. Il segreto
dell’immortalità del libro è proprio il suo proiettarsi verso il futuro, la sua
profonda capacità di sopravvivere alle maglie della memoria e ai sedimenti del
tempo.

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